Mafia (IT)

Operazione Porto Franco. In manette 13 imprenditori del porto di Gioia Tauro

sono scattate all'alba di oggi 13 ordinanze di custodia cautelare per altrettanti imprenditori legati alle potenti famiglie 'ndranghetiste della piana di Gioia Tauro, mentre cinquanta perquisizioni ancora in corso e importanti sequestri ne aggrediscono il patrimonio illecitamente accumulato.

von Cecilia Anesi , Giulio Rubino

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Lo scalo marittimo di Gioia Tauro, il più grande in Italia per movimento container (dati 2011), è il più importante anche per i traffici della criminallità organizzata calabrese.
Innumerevoli i sequestri che le forze dell’ordine hanno effettuato per traffico di stupefacenti in questo porto, anche in tempi molto recenti, come ha raccontato Mafia Blog in questi mesi di monitoraggio.
Alla recente operazione Eclissi, che ha colpito 20 affiliati alla ‘ndrangheta dei clan Pesce e Bellocco, si aggiunge oggi un altra importante azione, che in questo momento sta mettendo in manette 13 imprenditori legati proprio alla cosca Pesce e a quella dei Molè.

Ventitré società e beni per oltre 56 milioni di euro sono stati sequestrati, e gli arrestati dovranno rispondere di pesanti accuse, fra cui associazione mafiosa, riciclaggio, contrabbando e frode.

Le indagini, coordinate dalla locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, hanno preso le mosse da una serie di verifiche fiscali avviate nei confronti di imprese che operano nel settore dei trasporti e dei servizi connessi alle attività del porto. Gli indizi emersi in queste verifiche hanno portato gli investigatori della Guardia di Finanza a ricollegare le aziende a nomi appartenenti alle cosche.

L’indagine ha evidenziato come la cosca Pesce, infiltrata in modo pervasivo nel porto di Gioia Tauro, avesse messo in piedi un complesso sistema per cui in primo luogo costringevano con l’intimidazione le altre aziende attive nel porto a trattare esclusivamente con quelle colpite dal sequestro odierno, in seguito gli imprenditori arrestati oggi provvedevano a creare fondi ‘liquidi’ prontamente disponibili per la famiglia criminale attraverso la creazione di false fatture per operazioni inesistenti, che venivano pagate a membri delle famiglie Pesce e Molè.

Le aziende che emettevano le false fatture sono distributori al dettaglio di carburanti, che dispongono normalmente di molto denaro contante e che potevano quindi pagare in modo non tracciabile le fatture per false forniture di gasolio.

Gli approfondimenti dell’operazione di oggi si estendono anche al nord Italia, Veneto e Lombardia. In particolare a Verona le cosche avevano creato delle false cooperative di lavoratori, che fungevano da ‘schermo’ giuridico per gli ‘ndranghetisti, e che anche in questo caso provvedevano a creare fondi utilizzabili dal clan simulando contratti inesistenti. Queste imprese si sono rivelate essere solo scatole vuote, intestate a prestanome nullatenenti.

L’indagine portata a termine dalle Fiamme Gialle reggine denota, ancora una volta, un moderno quadro dell’imprenditoria ‘ndranghetista“ e un nuovo modo di „fare mafia“: in silenzio, senza violenza ne armi, in nome solamente del denaro e del profitto.

Giulio Rubino, Cecilia Anesi