‘Ndrangheta Made in Torino importava coca purissima dal Brasile. Colpito il tesoro, manette per il vertice ma il boss-broker è ancora latitante
Ad un giorno di distanza dalla più vasta operazione antidroga mai vista, a firma Italia-USA-Spagna e chiamata “Santa Fè, arriva un secondo duro colpo ai narcotrafficanti della ‘ndrangheta calabrese, questa volta guidati dalla cosca Pesce di Rosarno in collegamento a narcos Brasiliani. Mentre il boss dell’organizzazione criminale è latitante, le autorità sono comunque riuscite a sequestrare 415 chili di coca e beni mobili e immobili per otto milioni di euro e a scoprire come la potente organizzazione mafiosa riuscisse ad importare almeno una tonnellata di ‘oro bianco’ purissimo a semestre.
La Guardia di Finanza di Torino, in particolare il Gruppo Investigazioni Criminalità Organizzata (G.I.C.O.), coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) locale, ha scoperto una delle più grandi organizzazioni di narcotrafficanti presenti in Italia – con base operativa a Torino – e capace di rifornire costantemente grandissimi quantitativi di cocaina alle cosche di ’ndrangheta operanti in Piemonte, Lombardia e Calabria.
Il GIP di Torino ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 15 esponenti del gruppo di narcotrafficanti. Otto di questi sono stati arrestati dalle Fiamme Gialle nelle province italiane infiltrate e una in Portogallo, ma sette indagati mancano all’appello: tre sono brasiliani e uno sarebbe il vero e proprio ‘capo’ del sodalizio criminale, un calabrese di 57 anni residente a San Giusto Canavese, Torino, e ora latitante all’estero.
L’associazione per delinquere aveva una struttura gerarchica. Al vertice c’era A.N. che negli anni era diventato a tutti gli effetti un referente affidabile e competitivo per le altre organizzazioni criminali operanti sul territorio Italiano. Il narcos calabrese intratteneva rapporti diretti sia con produttori di coca e narcotrafficanti sudamericani che con elementi di spicco della ‘ndrangheta in Italia, organizzando insieme alla moglie, ai due figli e a uomini di fiducia, le importazioni di cocaina nascosta in container stivati a bordo di navi mercantili, generalmente in partenza e/o in transito dal Brasile.
Le imbarcazioni, dopo delle soste nei porti dell’Africa e della Spagna, si fermavano nel porto di Gioia Tauro dove uomini della cosca Pesce recuperavano i carichi e si occupavano poi della suddivisione della droga (in partite da 100 o 200 chili) tra le ’ndrine operanti in Piemonte (locale di Volpiano, creato dal fu narcos Pasquale Marando, tra i più grandi e temuti, ammazzato nel 2011), Lombardia (locale di Trezzano Sul Naviglio — Buccinasco) e Calabria (le famiglie di Platì e Rosarno).
Grazie a intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, videosorveglianza occulta, accertamenti patrimoniali e bancari, gli investigatori della Guardia di Finanza sono riusciti a ricostruire le rotte delle ingenti partite di droga destinate in Italia: i carichi partivano da Brasile e Perù e attraversavano Spagna e Portogallo, per poi giungere nel Belpaese. A.N. e i suoi uomini sono riusciti ad importare dall’America Latina tonnellate e tonnellate di cocaina purissima, come hanno provato tre distinti sequestri per un totale di 415 chili avvenuti nel porto iberico di Valencia. Solo questa piccola parte di droga, se tagliata ed immessa sul mercato al dettaglio, avrebbe fruttato almeno 35 milioni di euro.
A.N. era controllato a vista da mesi dal Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (SCICO) della Guardia di Finanza e dalla Direzione Centrale dei Servizi Antidroga (DCSA) ed è stato arrestato durante uno scalo all’aeroporto di Lisbona in arrivo dal Brasile. Su di lui pendeva un mandato di arresto europeo per una condanna a 13 anni per traffico internazionale di droga, ma A.N. è riuscito a sfruttare i buchi creati dalla burocrazia – ovvero rimesso in libertà dalle autorità portoghesi in attesa della definizione delle procedure di estradizione – si è dato alla latitanza. Da allora A.N. è introvabile, ma la sua narco-holding a gestione familiare è andata avanti sotto la guida del primogenito A.P., arrestato assieme alla madre F.R., che teneva la contabilità, divideva i profitti tra i membri, e procedeva agli investimenti.
La Guardia di Finanza non il bottino non se lo è fatto sfuggire, tracciandone e sequestrandone una parte: una lussuosa villa a San Giusto Canavese, Torino, con tanto di 4 milioni di euro in banconote sotterrati in giardino, altri 11 immobili, 33 conti correnti bancari, 15 autovetture, la totalità delle quote del capitale di tre società e quattro complessi aziendali. Con dichiarazioni dei redditi da fame, le famiglie di A.N. e dei suoi soci vivevano da re: beni di lusso, abbigliamento griffato, di costosi viaggi e vacanze e chirurgia estetica a go-go. Le indagini continuano, si cerca A.N. e si cercano i suoi collaboratori brasiliani, uccel di bosco anch’essi.
Di Cecilia Anesi e Giulio Rubino