Operazione Vicerè: oltre cento arresti tra le fila del clan Laudani di Catania
È rimasto ben poco, dopo l'operazione di questa mattina, del clan dei Laudani di Catania. Per trent'anni uno dei più potenti e ramificati gruppi della mafia siciliana, presente anche in Germania e Olanda, oggi il clan Laudani viene colpito da una colossale operazione della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Catania che ne scardina la struttura. Oltre cento gli arresti, inclusi i vertici dell'organizzazione, fra i quali spiccano tre donne ben 'integrate' nelle gerarchie criminali.
I Mussi ‘i ficurinia, come erano soprannominati i Laudani, si erano conquistati una fiera ‘indipendenza’ criminale anche rispetto al resto della Cosa Nostra catanese, dando importanza alle alleanze con altre cosche siciliane e con la ‘ndrangheta reggina.
Responsabili di oltre cento omicidi a partire dagli anni ’80, sono ritenuti fra i più feroci ed efferati clan siciliani. Sono infatti autori di alcuni dei più terribili fatti di cronaca nera verificatisi nella provincia di Catania negli ultimi decenni, come l’autobomba di 30 chili di esplosivo mandata contro la caserma dei Carabinieri di Gravina di Catania il 18 settembre 1993, in cui rimasero feriti quattro militari, l’omicidio dell’agente di Polizia Penitenziaria Luigi Bodenza il 24 marzo 1994 e l’assassinio del noto avvocato penalista Serafino Famà, avvenuto il 9 novembre 1995.
Una tale notorietà ha senza dubbio spianato loro la strada per il controllo del territorio e delle attività commerciali di zona. Le indagini hanno dimostrato come i Laudani avessero messo in piedi un sistema di estorsioni che, grazie anche all’organizzazione di numerose ‘cellule’ operative sul territorio, garantiva elevati profitti. Nel materiale sequestrato durante l’operazione di oggi sono state infatti ritrovate vere e proprie liste di attività commerciali, che erano costrette a pagare dai tremila ai quindicimila euro all’anno. Per far tener bassa la testa alle vittime d’estorsione, i Laudani sono ripetutamente ricorsi a intimidazioni, attentati e aggressioni, tanto che nessuno ha avuto il coraggio ne di ribellarsi ne di denunciarli. Gli estorti infatti, interrogati dagli inquirenti, si sono limitati ad ammettere di aver subito estorsione, ma non hanno fornito alcun elemento utile per l’identificazione dei responsabili.
Il denaro guadagnato dalle estorsioni i Laudani l’hanno sono sempre riusciti a farlo fruttare bene, come ha dimostrato il recente arresto di Sebastiano Scuto, titolare della famosa catena di supermercati ‘Despar’, condannato poi proprio per i suoi legami con i Laudani e per il reimpiego di denaro frutto di attività illecita.
Ma erano anche le ‘signore’ del clan a organizzare gli investimenti del capitale, agendo da vere e proprie boss. Facendo attenzione ad usare sempre dei prestanome per tenere le ricchezze al sicuro dalle confische, le signore Laudani hanno guidato alcune delle scelte economiche del clan, che ha riciclato in particolare nel settore turistico-alberghiero e in quello della rivendita di autovetture.
Per giungere ai risultati di oggi ci sono voluti anni di indagini. Dopo le operazioni ‘Fico d’India’ e „Abisso“ Giuseppe Laudani, nipote del capostipite del clan e anche lui ‘boss’ fra il 1999 ed il 2010, aveva deciso di collaborare con la Giustizia, svelando segreti di vent’anni di storia mafiosa e fornendo indicazioni che hanno dato l’avvio alle indagini culminate negli arresti di oggi. Le indagini da li scaturite hanno rivelato come il clan Laudani fosse organizzato su di una struttura che garantiva alle cellule particolare autonomia. Una vera e propria holding criminale insomma, nella quale alleanze, guerre e ‘diplomazia’ con gli altri clan era riservata alla famiglia dominante, mentre estorsioni e traffico di droga, oltre che tutte le attività più operative erano gestite liberamente dagli associati.