Mafia (IT)

Operazione The End. I carabinieri di Catania mettono la parola fine sul clan Assinnata.

È partito tutto da una denuncia. Un accendino legato ad una tanica di benzina, la più classica delle intimidazioni a scopo di estorsione, non ha intimorito abbastanza un imprenditore della provincia di Palermo che con la sua denuncia ha dato il via ad un importante indagine. L'operazione “The End”, eseguita ieri, ha portato dall'identificazione e all'arresto di ben quattordici persone. Sono i boss ed i luogotenenti del riorganizzato clan Assinnata, oggi tutti accusati di associazione mafiosa, estorsione e traffico di stupefacenti.

von Cecilia Anesi , Giulio Rubino

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Il gruppo criminale, legato alla potente famiglia catanese dei Santapaola, era nato attorno alla figura di Giuseppe Alleruzzo, che nel 1987 aveva iniziato una discontinua collaborazione con la giustizia dopo l’assassinio di sua moglie e suo figlio. Furono Domenico e Salvatore Assinnata a riorganizzare il clan: Domenico è stato arrestato l’anno scorso, mentre il figlio Salvatore lo ha raggiunto ieri quando i Carabinieri del Comando Provinciale di Catania, della Compagnia di Intervento Operativo del XII Battaglione „Sicilia“ e dei nuclei Cinofili di Nicolosi ed Elicotteri di Catania hanno chiuso il cerchio attorno alle sue attività criminali.

Salvatore era fino a ieri l’indiscusso capo di questa famiglia, lo rivelano anche alcune significative intercettazioni: „iddu (lui) è il top del top“ „iddu cumanna è u capu (lui comanda, è il capo)“ hanno commentato fra loro alcuni affiliati. Al capo spettava la gestione della cassa comune, e le decisioni su come reinvestire i guadagni delle estorsioni nell’acquisto di stupefacenti.

Il resto dell’organizzazione era ben regolamentato in rigidi ruoli: il braccio destro Giovanni M. si occupava della droga, come testimoniano i 600 grammi di cocaina purissima trovati nella sua abitazione, Pietro P. era a guardia dell’armeria del clan (un arsenale sequestrato a maggio 2013), e altri si occupavano di gestire il resto delle attività illecite del clan, compreso fare da ‘messaggeri’ per il boss, movimentare e spacciare la droga, eseguire le intimidazioni e le estorsioni.

Nella loro zona la facevano da padroni: in un negozio di ottica di Paternò entravano e sceglievano a piacere gli occhiali da sole che preferivano, mentre le loro vittime sopprimevano la rabbia di fronte all’arroganza e alla presunta intoccabilità degli ‘uomini d’onore’.

La forza dell’organizzazione fa si che raramente gli affiliati temono il carcere. Del resto dalla cassa comune sono sempre usciti i soldi necessari al mantenimento delle famiglie degli affiliati in carcere. In un episodio, quando Daniele B. era oramai certo della sua condanna definitiva, ‘passava il testimone’ al suo successore, che „ora doveva iniziare a lavorare al posto suo“.