Mafia (IT)

Benvenuti a ‘Cosa nostra Beach’: chioschi e stabilimenti gestiti dal clan Spada

Provvedimenti restrittivi sono stati disposti nei confronti di imprenditori esercenti lungo il litorale romano, legati al Clan Spada, a favore del quale pilotavano la gestione degli appalti pubblici e la concessione di stabilimenti balneari.

von Giulio Rubino

imgres2

Ben nove gli indagati, tre destinatari della misura della custodia cautelare in carcere, Aldo P., Armando S. e Cosimo A., e sei sottoposti alla misura degli arresti domiciliari, Giovanni R., Antonio A., Damiano F., Ferdinando C., Matilde M. ed Angelo S.
Un’ operazione condotta in sinergia dalla polizia di Stato, dall’ Arma dei Carabinieri e dalla Guardia Costiera coordinata dalla DDA che ha visto coinvolti i pubblici ufficiali nei confronti dei quali sono stati eseguiti, oltre ai provvedimenti restrittivi della libertà personale anche numerose perquisizioni.

unnamed file

images

Al centro dell’inchiesta vi è la creazione un impianto corruttivo per manovrare appalti per servizi di pubblico interesse prime tra tutte le concessioni demaniali degli stabilimenti balneari ed in particolare l’affidamento di uno stabilimento molto noto ad Ostia, l’Orsa Maggiore.
Tali condotte avrebbero agevolato il clan Spada, dal nome del boss Carnine Spada, arrestato nel luglio 2013 durante l’operazione ‘Nuova Alba’.
Le investigazioni della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma hanno avuto origine a partire dal 2012 e si sono in particolare focalizzate sulla figura dell’ingegner Aldo P., all’epoca direttore dell’Ufficio Tecnico del Municipio Mare, intorno alla quale hanno ruotato tutte le ipotesi delittuose oggetto dell’indagine portata a conclusione in questi ultimi giorni.
Secondo quanto constatato infatti dalla Procura di Roma il metodo utilizzato dagli indagati per comprare i favori dell’ex dirigente dell’Ufficio Tecnico di Ostia avveniva mediante “un sistema di false fatturazioni verso una società con sede a Latina”.

unnamed file

Spiaggia generica-2

“Mazzette” con importi variabili dai 40 mila ai 60 mila euro, che “finivano sul conto corrente della società”e poi ritirate personalmente da un uomo di fiducia dello stesso dirigente, che non risulta tra gli indagati nell’inchiesta.
Le accuse vanno dal reato di abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti, falsità ideologica alla concussione, corruzione ed una serie di reati finanziari.

unnamed file

imgres-1

Una triste vicenda che si inserisce nel più ampio contesto di infiltrazioni mafiose che vede continuamente il litorale romano oggetto di atti criminali da parte delle consorterie mafiose che da anni lucrano sulle aree demaniali.


Flavia Zarba