Aggrediti i patrimoni mafiosi nell’Agrigentino. Un milione e mezzo di euro confiscati.
Possono volerci anni di lavoro, ma oramai la prassi è consolidata. Le Direzioni Investigative Antimafia sanno bene come colpire le mafie dove fa male, nel portafoglio. Ed è cosi che oggi il tribunale di Agrigento, ha definitivamente sottratto dal patrimonio di cinque esponenti di spicco delle locali famiglie mafiose beni per un totale di circa un milione e mezzo di euro.
Colpiti dal provvedimento sono nomi importanti, come quello di Giuseppe Falsone che, prima del suo arresto nel 2010 a Marsiglia, in Francia, era considerato il capo indiscusso della Cosa Nostra della provincia di Agrigento ed inserito nella lista dei trenta latitanti più pericolosi. Falsone era uomo molto vicino a Provenzano e ricervcato gennaio 1999 per associazione mafiosa, omicidio e traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Negli oltre dieci anni di latitanza aveva continuato a gestire gli affari del clan tramite la sorella, che trasportava i ‘pizzini’ personalmente, e gli altri parenti. A Falsone è stata oggi sottratta un impresa individuale, un azienda agricola del valore di 35.000 euro.
Le confische più significative, in termine di valore economico, sono quelle che hanno raggiunto i beni di Simone e Giuseppe Capizzi. I due, rispettivamente padre e figlio, sono elementi di spicco della mafia riberese. Simone, il padre, sta scontando l’ergastolo per l’omicidio del maresciallo dei Carabinieri Giuliano Guazzelli. Suo figlio Giuseppe invece sconta una pena di otto anni per associazione mafiosa. A loro sono stati tolti terreni, fabbricati e conti di deposito per circa 870.000 euro di valore.
Quasi 300.000 euro a testa invece sono stati confiscati a Damiano Marrella, condannato nel 2011 a otto anni per associazione mafiosa, e a Pasquale Alaimo, che invece ha ben 13 anni da scontare. Entrambi nascondevano il grosso del loro patrimonio in fondi di investimento e conti di deposito.
Le notevoli risorse economiche a disposizione di questi personaggi evidenziano ancora una volta la grande capacità della mafia di concentrare ricchezza, una ricchezza rubata alla società con la violenza e l’estorsione. Se questi beni potranno essere, come la legge prevede, assegnati ai cittadini e destinati a finalità sociali, la ferita che la mafia ha inflitto al suo stesso territorio potrà finalmente cominciare a guarire.
Giulio Rubino, Cecilia Anesi