Scoperta la rete dei messaggeri del superlatitante Matteo Messina Denaro
Undici messaggeri arrestati all'alba nel trapanese, tra pregiudicati mafiosi e insospettabili colletti bianchi, il boss dei boss aveva costruito un Whatssapp analogico tra le campagne siciliane. Per tre anni la Polizia li ha osservati, in silenzio, e oggi ha sferrato l'attacco.
Li hanno tenuti d’occhio dall’inizio del 2012, per tre lunghi anni, con telecamere nascoste e registratori sotterrati, in passamontagna, pazientemente appostati tra le campagne di Mazara del Vallo e Salemi, nel trapanese. E nello specifico una masseria, usata come snodo per la comunicazione occulta con il superlatitante Matteo Messina Denaro, capo indiscusso di Cosa Nostra. Questa mattina all’alba, Polizia e Carabinieri hanno arrestato 11 indagati ritenuti messaggeri dei pizzini di e per il boss braccato.
Alcuni erano pastori, altri agricoltori, come nelle migliori tradizioni di mafia siciliana. Altri, incensurati e insospettabili, erano geometri, ragionieri, autotrasporatori. A fare il burattinaio era Vito Gondola, anziano e autorevole uomo d’onore, reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo. Era lui che aveva il compito di gestire i tempi e i modi di consegna e distribuzione della ‘corrispondenza’, a cadenza trimestrale, in aperta campagna e usando un linguaggio in codice – si parlava di pecore e ricotta — per assicurarsi di non tradire dettagli sulle direttive criminali impartite da Messina Denaro, latitante da 22 anni. E finora sono stati anche questi metodi arcaici, ovvero i cosiddetti ‘pizzini’, pezzetti di carta con messaggi brevi e concisi, piegati più e più volte quasi fossero origami squadrati, e protetti da nastro adesivo, a garantire a Messina Denaro la libertà. L’uccel di bosco sa quanto rischierebbe se gli investigatori riuscissero a risalire la china, ad arrivare a lui tramite i suoi messaggeri. E per questo aveva organizzato una struttura gerarchica.
Di Vito Gondola il capo dei capi si fida. Gli aveva già affidato compiti importanti, come quello di mettere d’accordo tutti sulla spartizione dei guadagni legati al parco eolico ‘Vento di Vino’ che dovevano soprattutto sostenere la famiglia del latitante e il latitante stesso.
Ecco quindi che Gondola era stato incaricato di trovare dei messaggeri di fiducia. Tra questi ci sono un allevatore di Salemi, gestore di un caseificio, che faceva da tramite tra le comunicazioni di Gondola e Michele Gucciardi, agricoltore e reggente della famiglia mafiosa di Salemi. C’era poi un autotrasportatore mazarese che, usando come ulteriore tramite un ragioniere di una ditta di Santa Ninfa, assicurava le comunicazioni tra Gondola e un uomo d’onore della famiglia mafiosa di Santa Ninfa. E infinite un geometra in pensione di Partanna era l’intermediario che permetteva a Gondola di fissare degli incontri segreti con uomini d’onore delle famiglie di Santa Ninfa e Partanna.
Salvo Palazzolo, giornalista di Repubblica che ha seguito le operazioni di questa mattina da vicino, ha intervistato uno degli investigatori. Gli ha raccontato come seguire quella rete invisibile di pizzini che andavano e venivano „è stato un vero rompicapo“ visto che i pizzini andavano subito distrutti dopo la lettura, come testimoniano alcune intercettazioni della polizia. Ci sono voluti anni per arrestare questi 11 corrieri perché il superlatitante li teneva lontani dalla masseria anche per mesi, forse per prudenza, forse perché era fuori dalla Sicilia per un periodo. Le indagini non riescono ancora a chiarire questo aspetto, ma due cose sono certe: Matteo Messina Denaro deve passare del tempo in Sicilia, per non perdere il controllo sul territorio e quindi su Cosa Nostra, e probabilmente passa del tempo in Germania, almeno secondo il racconto di un ex-killer raccolto due anni fa dal documentario Mafia in Deutschland.
Ci si domanda cosa avessero da guadagnare questi messaggeri, per quale motivo ancora nel 2015 si riesce ad amare tanto un boss, quasi fosse un dio, da rischiare il carcere per assicurarsi che gli ingranaggi del suo sistema siano protetti e ben funzionanti. Tra gli 11 indagati e arrestati oggi c’è anche un imprenditore di 48 anni nato a Locarno, in Svizzera, e titolare di un supermercato Despar a Castelvetrano. Scrive Salvo Palazzolo: „viaggiava spesso fra Milano e Bologna, al Vinitaly aveva anche portato la sua ultima creatura, un consorzio di produttori di vino.“ Ma anche lui era fedele a Matteo, pronto a scattare non appena un pizzino doveva arrivare a Partanna, la famiglia mafiosa a cui appartiene.
Gli inquirenti in Svizzera ci sono arrivati seguendo l’odore dei soldi. Secondo i pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo autori dell’indagini, Paolo Guido, Carlo Marzella, Franco Lo Voi e l’aggiunto Maria Teresa Principato, alcuni degli arrestati nascondevano in conti correnti svizzeri soldi per la latitanza del boss dei boss. Le verifiche sono ancora in corso, e potrebbero arrivare sorprese nelle prossime ore.