Mafia (IT)

Riforma il clan gelese degli Emmanuello: arrestato il giovane boss rampante

In carcere ci era finito a 19 anni, Gianluca Pellegrino, e già da tempo si occupava di droga e estorsioni per il clan di Cosa Nostra gelese 'Emanuello', cresciuto dal reggente del tempo, poi diventato collaboratore di giustizia. In carcere però aveva imparato solo a rafforzare il linguaggio mafioso, sognando di guidare il clan e diventare vero uomo d'onore. Ci era riuscito, il giovane Pellegrino. Dal 2011, anno della sua scarcerazione, aveva rimesso assieme un gruppo di criminali ormai allo sbaraglio dandogli nuova forza e identità, tale da essere riconosciuto a tutti gli effetti come una delle famiglie mafiose di Gela sia dai Rinzivillo che dalla Stidda, ma anche e soprattutto dal capo-mandamento gelese Barbieri. Oggi però viene fermato il suo sogno, grazie alla Squadra Mobile di Caltanissetta guidata dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia che sono riuscite a fermare l'onda di violenza e degrado del clan Emmanuello.

von Cecilia Anesi , Giulio Rubino

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Come nelle fiction di mafia, anche a Gela un clan di Cosa Nostra è risorto dalle ceneri grazie ad un giovane intraprendente. Si tratta del gruppo degli Emmanuello, fortemente disorientato dalla morte nel 2007 del capo indiscusso, Daniele Emmanuello, e dalla raffica di arresti dei principali uomini molti dei quali poi diventati collaboratori di giustizia, che ha avuto nuova vita grazie all’attivismo e al carisma criminale di Pellegrino Gianluca, classe 1984.

Pellegrino è ritenuto da sempre vicino agli Emmanuello, come confermato da diversi collaboratori di giustizia che hanno tratteggiato una figura dalla caratura criminale particolarmente spiccata che, sin da giovanissimo, si occupava del traffico di droga e delle estorsioni per il clan.

Il baby-mafioso, appena maggiorenne era finito in carcere per scontare otto anni di pena – dall’11 maggio 2003 fino al 4 maggio 2011 — ma la sua permanenza dietro le sbarre l’avrebbe sfruttata pensando al futuro criminale, chiedendo di diventare uomo d’onore, avvicinandosi sempre più ad Alessandro Barberi, capo mandamento di Gela. Questo secondo il racconto del pentito Francesco Vella di cui Pellegrino è stato il „figlioccio“ durante il suo periodo di reggenza del gruppo Emmanuello.

Pellegrino oggi è indagato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta per associazione di tipo mafioso — aggravata dall’essere armata — finalizzata al traffico di stupefacenti e alle estorsioni contro imprenditori gelesi già dal 2003. Appena scarcerato nel 2011, ha scoperto la Squadra Mobile di Caltanissetta diretta dalla Dottoressa Alessandra Bonaventura Giunta, Pellegrino ha preso le redini del sodalizio, riallacciando i contatti con tutti gli uomini rimasti liberi con i quali ha rimesso in piedi il clan e accreditandosi sia con i rappresentanti dell’altra anima della famiglia di Cosa Nostra gelese, i Rinzivillo, sia con gli esponenti dell’organizzazione mafiosa storicamente opposta a Cosa Nostra, la Stidda, con i quali è riuscito a spartire le estorsioni, mentre ciascuno per sé ha curato il mercato del commercio della droga.

L’indagine ha dimostrato come la piazza della droga gelese fosse ormai sotto il completo controllo del clan Emmanuello che si riforniva di marijuana e cocaina a Palermo e Catania.

Inoltre, la Squadra Mobile ha dimostrato come gli Emmanuello sotto la guida di Pellegrino a Gela per le estorsioni la facevano da padrone, non facendosi problemi a dare alle fiamme l’abitazione di quegli imprenditori che si rifiutavano di pagare il pizzo.

A conferma del potere acquisito, un’altra indagine sempre dalla DDA di Caltanissetta, ha dimostrato che Pellegrino era riuscito ad ottenere la fiducia di Alessandro Barberi, capo mandamento di Gela che si è prodigato per riallacciare le fila della famiglia nissena e ricostituire la provincia mafiosa, diventandone rappresentante provinciale.

Seguito dai tempi della scarcerazione dagli agenti della Mobile, Pellegrino e 15 suoi uomini sono finiti oggi in manette, ma soltanto Pellegrino dovrà scontare la pena in carcere.