Coca colombiana, narcos costaricani, acquirenti platinoti: una nuova alleanza
Dopo ‘Santa Fe’, seguendo lo stesso fil rouge, scattano le operazioni ‘Due Mari’ e ‘Angry Pirate Two’ del GOA di Catanzaro e della DEA americana che scoperchiano l’intera filiera, dai paramilitari di ELN e FARC come produttori ad una rete di narcotrafficanti centro americani come smistatori alla ‘ndrangheta della Locride come compratori. Arrestate oltre cento persone e sequestrate 11 tonnellate di cocaina purissima in Colombia, Costa Rica, Panama, Messico, Brasile, Peru, Cile, Venezuela, Repubblica Dominicana, Ecuador e, naturalmente, Italia.
“In totale sono 23, ieri erano 18, me ne mancano cinque“, scrive il partner colombiano della ‘ndrangheta platinota in una chat. Non sono numeri da giocare al lotto, sono pacchetti di banconote piegate e nascoste nel suo ventre. Gli inquirenti del Gruppo Operativo Antidroga (GOA) della Guardia di Finanza di Catanzaro non potevano credere ai loro occhi quando il colombiano ha inviato anche delle esplicative foto di prugne secche per dimostrare il suo impegno. Erano i primi di maggio 2015, e Giovanny André Rivera — colombiano di stanza in Olanda — aveva appena portato in Costa Rica 69.000 euro nascosti in pancia per pagare il fornitore costaricano della cocaina. Le prove fotografiche Giovanny André le aveva mandate a Franco Monteleone, narcotrafficante platinota legato alla cosca degli Spagnuolo di Ciminà. Monteoleone, già noto al GOA, finisce in manette assieme a Giovanny André a dicembre 2015. Le importazione di tonnellate di cocaina dal Sud America si fermano, ma le indagini continuano. In uno sforzo congiunto, il GOA e il Gruppo Investigazioni Criminalita Organizzata (GICO) di Catanzaro guidate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, la polizia colombiana e la Drug Enforcement Agency (DEA) americana riescono a tracciare l’interezza del patto che correva tra gli italiani e i sudamericani.
Su segnalazione del GOA, la DEA fa le prime indagini sui nomi dei fornitori costaricani e scopre come fossero soggetti già sotto i riflettori di una loro altra inchiesta antidroga. Nasce cosi „Angry Pirate Two“, una vasta indagine che con il supporto della polizia colombiana e della Panama Express Strike Force North, ha permesso di arrestare oltre 100 persone, scoprire sette laboratori clandestini e sequestrare 11 tonnellate di cocaina. Anche i paramilitari erano coinvolti. Infatti, le organizzazioni terroristiche Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e FARC permettevano che la cocaina colombiana ordinata dai narcotrafficanti giungesse indisturbata fino ai depositi costieri sotto il controllo de Los Urabenos Bandas Criminales, le BACRIM, che si occupavano di caricarla su piccole imbarcazioni di velocità o pescherecci, che la portavano fino a scali in paesi da cui partono le spedizioni per l’Europa quali il Venezuela, Panama e la Costa Rica, dai quali la coca avrebbe preso il largo a bordo di navi cargo.
Era una rete di narcos di vari paesi latini che riforniva di droga i compratori calabresi, e che si assicurava di nasconderla all’interno di appositi doppifondi ricavati all’interno di container. In questo caso non si usava quindi la tecnica del rip-off ma piuttosto, come ha potuto constatare il GOA di Catanzaro, si utilizzava la complicità di aziende di import-export sia dal lato sudamericano che italiano, in gerco insomma il traffico di droga si eseguiva attraverso la modalità ‘ditta-ditta’.
Una riprova arriva a giugno 2015: una spedizione di ananas e manioca inviata dalla società ‘Expopalmarena del sur’ di San Josè nascondeva cocaina. Tra i tuberi veri c’erano infatti 100 finti tuberi di manioca in vetroresina, ognuno dei quali conteneva circa mezzo chilo di cocaina, per un totale di 50 chili. La stessa azienda viene pizzicata di nuovo a novembre dello stesso anno, quando manda di nuovo cocaina nascosta tra manioca e ananas ad una società con sede a Trento.
Monteleone ha anche un alleato al porto di Civitavecchia: titolare di un’impresa di import-export di materiale edile che usa come copertura per l’importazione di cocaina, l’uomo fa continui viaggi in Sudamerica, soprattutto in Nicaragua, ed è un elemento chiave per il gruppo di narcos calabresi.
La trattativa per la droga i calabresi la fanno con il tramite costaricano Angulo Fernandez Jose Jhonny alias „capelli lunghi“, classe 1971, conosciuto alle forze dell’ordine locali quali parte di una rete di narcotrafficanti sudamericani. L’uomo — al momento latitante — ha tra i suoi clienti di ‘prestigio’ proprio Franco Monteleone e la Locride che rappresenta. Monteleone e i suoi uomini organizzano spesso viaggi in Costa Rica per accordarsi con lui, accompagnati anche da Giovanny André, il colombiano che vive in Olanda e che per i Monteleone fa il corriere di soldi. E’ infatti Giovanny André ad assicurare alla ‘ndrangheta da una parte, e ai narcos sudamericani dall’altra, che i pagamenti per le forniture avvengano sempre su base regolare. All’inizio degli accordi Giovanny André viene intercettato dal GOA mentre si trasferisce praticamente a Platì (RC) fra settembre e novembre del 2013 a ‘garanzia’ del buon esito di una consegna di denaro. Dal lato sudamericano invece c’è invece un libanese che entra e esce da Dubai a garantire che i soldi arrivino al capo costaricano e che vengano — si puo supporre — immessi nel circuito bancario degli Emirati. Insomma una vera e propria corporazione transnazionale del crimine, tanto che Monteleone ingaggia come braccio destro un cittadino rumeno che svolge quasi un ruolo di ‘cancelliere’.
A conferma del modello imprenditoriale di successo del sodalizio, la pm titolare delle indagini Simona Ferraiuolo della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nella richiesta di fermo mette nero su bianco come „assumendo tutte le caratteristiche di un modello di impresa di successo, seguendone le stesse logiche di specializzazione, crescita ed espansione anche nei mercati internazionali, la ‘ndrangheta ha dimostrato di possedere strutture duttile e spiccata attitudine alla metamorfosi, rendendosi così idonea ad adattarsi alle repentine evoluzioni e logiche del mercato“. La ‘ndrangheta descritta dalla pm Ferraiuolo è una mafia che „ottimizza le proprie risorse, sia di uomini che di mezzi, minimizzando i rischi attraverso una programmazione e una pianificazione della propria illecita attività“, muovendosi con uomini che si coordinano perfettamente con „soggetti altamente specializzati capaci di muoversi abilmente nello scacchiere internazionale per il reperimento direttamente nei paesi produttori, l’acquisto, il trasporto, l’importazione, la distribuzione sino alla commercializzazione di ingenti partite di stupefacente.“