Mafia (IT)

Due fratelli stiddari a Pforzheim

Per abbandonare la Sicilia e trasferirsi a Pforzheim, al sud della Germania tra Stoccarda e il confine con la Francia, ci vuole davvero un buon motivo. C’è chi lo fa per cercare un lavoro, per raggiungere la famiglia o seguire l’amore. Altri invece a Pforzheim hanno trovato un rifugio dopo una sanguinosa guerra di mafia. Pforzheim è una città discreta, di medie dimensioni, perfetta per occuparsi in pace dei propri affari, che siano legali o meno. Il centro di giornalismo d’inchiesta di Berlino, Correctiv, ha mandato i propri giornalisti a Pforzheim a vedere da vicino.

von Franco Castaldo , David Schraven , Cecilia Anesi , Giulio Rubino

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Infatti è qui che vivono i fratelli Zanetti* di Canicattì, stiddari che alla fine degli anni ‘80 avevano partecipato, con le famiglie G., P. (i gelatai) e M., alla guerra di mafia contro Cosa nostra nell’agrigentino.

Si stima che 5.000 persone abbiano in quegli anni fatto parte della Stidda, e nella sanguinosa faida morirono almeno 300 persone su entrambi i fronti. Stidda in siciliano significa stella: il segno identificativo che molti giovani ribelli si tatuavano tra il pollice e l’indice della mano destra.

In quegli anni c’era una gran confusione. Inizialmente neppure Cosa nostra aveva chiaro da dove arrivasse l’attacco. Molti boss eccellenti venivano assassinati, ma è uno il passaggio cruciale di questa guerra che rese chiara la faida contro Cosa Nostra: l’omicidio del boss Giuseppe Di Caro di Canicattì e il ferimento del nipote Lillo Di Caro in un attentato da cui quest’ultimo riuscì a scappare, ferendo uno dei cecchini, Giammarco Avarello. Da li Cosa nostra iniziò a rispondere, avendo finalmente identificato i mandanti degli omicidi. Furono in molti a cadere, anche innocenti, come bambini e come il giovanissimo giudice Livatino che cercava di fare luce sulla vicenda.

Era il 2 aprile 1991, da una palazzina rosa di tre piani, tutta di proprietà della famiglia Zanetti, i due fratelli — Arturo e Giovanni* — vedono un auto avvicinarsi. Era la polizia in borghese, ma i tre li scambiano per killer di Cosa Nostra. In una mirabolante scalata verso il tetto e da li ai palazzi accanto, i tre fuggono, fuggono in Germania.

Gli da rifugio, come ci raccontano al Commissariato di Canicattì, la famiglia stiddara dei P. a Mannheim, dove hanno un bar-gelateria. Anche i Zanetti aprono un bar, che secondo il processo „Alletto Croce + 77“ era un punto di ritrovo per gli stiddari nel sud della Germania. Poi si trasferiscono a Leimersheim dove iniziano a lavorare come camerieri.

Su segnalazione delle autorità italiane, la polizia tedesca intercetta i Zanetti in Germania, e aveva annota discorsi in codice in cui i fratelli parlavano di contrabbando di armi. Nel 1992 una pattuglia tedesca ferma l’Alfa Romeo su cui viaggiava Giovanni e due amici. Nel bagagliaio c’è un sacco nero. Quando la polizia chiede di aprire la borsa, i tre uomini attaccano gli agenti, li disarmano e fuggono.

Arturo, il fratello maggiore di ben 17 anni, nell’89 aveva già provato i patimenti del carcere per due anni. Questo però non lo ha reso un uomo Zanetti. Arturo è pregiudicato per detenzione illecita di armi e munizioni, rapina e mafia. Da poco scarcerato, nel 1992, il Tribunale di Caltanissetta lo condanna per associazione di tipo mafioso. Un anno dopo viene catturato in Germania e estradato in Italia. Uscirà dal carcere solo nel 1999.

Per Giovanni la vita di stiddaro è più complessa. A 18 anni — in piena guerra di mafia — finisce già sotto sorveglianza speciale e nel 1993 viene arrestato dalla Mobile di Agrigento su richiesta tedesca per rapina. Ma è anche l’Italia a volerlo dietro le sbarre e per un reato più serio, l’associazione mafiosa. Verrà cosi estradato ed uscirà dal carcere solo nel 2006.

Dal 2007 Arturo* e Giovanni Zanetti si stabiliscono a Pforzheim. Qui c’è anche un loro cugino, Roberto Totti*. Totti ha diversi precedenti per droga, infatti nel 2002 viene fermato all’aeroporto di Tocumen a Panama con una valigia carica di cocaina. Nel 2003 riceve un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione di polizia „My Friend“ per traffico di droga in Sicilia e Germania, ma non viene arrestato poiché già detenuto a Panama. Un contatto con il Sud America Totti lo aveva già durante i primi tempi a Canicattì, quando importava porte di legno dal Brasile. A febbraio 2007 Totti viene estradato da Panama su richiesta della Corte d’Appello di Palermo per traffico di droga e rimane ai domiciliari fino a luglio dello stesso anno per fine pena. Dal 2011 decide per un salutare cambio d’aria, e si trasferisce a Pforzheim, dove apre un ingrosso di frutta.

Secondo un informatore della polizia tedesca i Zanetti potrebbero in qualche modo essere entrati in affari con lui.

Giovanni però, nega con decisione. Al centro di giornalismo d’inchiesta CORRECTIV dichiara di conoscere Totti solo di sfuggita: “Ci sono così tanti Angeli qui”. E rincara la dose. Dice di essersi trasferito in Germania per motivi onesti, di essere cambiato in carcere, di avere lasciato il male dietro di sè. „Ho voluto iniziare una nuova vita“, ha dichiarato. E, a detta sua, è riuscito a farlo.

Da quando si sono trasferiti a Pforzheim, nel giro di pochi anni, i fratelli Zanetti hanno acquistato case e appartamenti, soprattutto in aste giudiziarie, per un valore di almeno 1,5 milioni di euro. E’ soprattutto grazie all’intermediazione di un soggetto di origini campane che i fratelli riescono ad entrare nel settore immobiliare dell’area di Pforzheim.

Alcune delle proprietà all’asta vengono acquistate assieme ad un uomo calabrese, di Cetraro, città dove il clan Muto controlla „anche il respiro del territorio“ per dirla con le parole del Procuratore Capo di Catanzaro Nicola Gratteri che ha coordinato l’operazione Frontiera contro il clan Muto del 19 luglio 2016.

La Mobile di Agrigento conferma che il calabrese entra e esca dalla Germania molto spesso, e che sia in contatto con i Zanetti. La polizia tedesca sospetta che agisca da corriere di soldi.

I Zanetti oggi hanno anche un albergo, nel centro della città di Pforzheim.

Secondo una fonte vicina alla polizia tedesca i fratelli Zanetti in passato hanno nascosto latitanti, prestando lo stesso aiuto che avevano una volta ricevuto loro stessi. D’altronde non è un mistero che oggi la mafia agrigentina, Stidda o Cosa Nostra che sia — visto che in nome degli affari si ricuciono anche le faide più brutali — sia specializzata nel nascondere anche importanti latitanti della Cosa Nostra trapanese e palermitana.

Il Bundeskriminalamt stima che circa 550 mafiosi vivano in Germania. Un numero calcolato sulle indagini congiunte dei due paesi. Questo è però solo il numero dei mafiosi registrati agli atti. Ci sono anche prestanome, collaboratori e criminali minori che gravitano attorno ai mafiosi. Sono per lo più persone italiane nate in Germania o tedeschi veri e propri. La cifra reale dell’esercito mafioso in Germania è quindi probabilmente molto più alta.

I mafiosi beneficiano della legislatura tedesca. I beni della mafia non vengono sequestrati automaticamente, l’appartenenza ad una associazione di tipo mafioso non è in se stessa un crimine. Giusto pochi mesi fa alcuni ‘ndranghetisti sono stati rimessi a piede libero nonostante la richiesta di arresti e estradizione che la Procura di Reggio Calabria aveva mandato in Germania.

“I mafiosi in Germania sono liberi di associarsi tra loro“ ha spiegato a CORRECTIV un investigatore tedesco che chiede di rimanere anonimo “senza che noi possiamo arrestarli o fermarli“.

I Zanetti dichiarano di essersi lasciati la loro storia mafiosa, anzi stiddara, alla spalle.

Uscire dalla mafia in genere richiede ben più di un semplice ravvedimento morale. Di solito ci sono due vie: il ‘cappotto di legno’ o la collaborazione con la magistratura.

Negli ultimi tempi — ci raccontano i social network — i Zanetti tornano a Canicattì in vacanza. Senza che l’attuale boss di Cosa Nostra, Di Caro, gli torca un capello nonostante sappia benissimo del loro passato stiddaro.

La polizia tedesca sospetta che i due fratelli abbiano un giro d’affari che faccia comodo a tutti, mentre la polizia italiana non esclude che gli stiddari in Germania abbiano riciclato denaro nel mercato immobiliare.

Giovanni allontana da se questo sospetto. Le sue proprietà sono state acquistate con il sudore e con il lavoro onesto, dice. I soldi — dichiara — li ha messi insieme con alcuni amici, ha iniziato acquistando dei piccoli appartamenti, ristrutturati da solo, e poi affittati. Man mano che entravano altri soldi hanno iniziato ad investire in proprietà sempre più grandi.

L’agenzia delle entrate tedesca non ha rilevato nulla di illegale, nulla che possa fare sospettare il riciclaggio.

Ma per la polizia di Canicattì quello che è certo è che in Germania „i mafiosi abbiano trovato la loro Mecca”.

Agli investigatori tedeschi manca lo strumento chiave che si usa in Italia per combattere le mafie: l’intercettazione. In Germania l’intercettazione è consentita solo in rari casi, i costi sono spesso talmente elevati che se si fa, si fa per brevi lassi di tempo. Inoltre, i traduttori non devono capire solo l’italiano ma anche i dialetti, il che rende tutto molto costoso.

Il risultato è che quando gli investigatori tedeschi parlano di lotta alla mafia in Germania lo fanno con grande frustrazione.

In Italia, un mafioso condannato deve dimostrare di aver acquisito i suoi soldi e le case legalmente. In Germania è il contrario. In Germania sono gli investigatori a dover provare da quale attraverso quali crimini è stato contratto il patrimonio. Per questo in alcune città tedesche ci sono pizzaioli milionari. Il parlamento sta discutendo una proposta di modifica di legge per rendere più facile la confisca di beni mafiosi.

In Germania ci sono pochi fenomeni così sottovalutati quanto la mafia. Forse perché la mafia ormai uccide solo se strettamente necessario, e fa di tutto per sparare in Italia, anche a quei mafiosi residenti all’estero, invece che in Germania. Ha capito che se in Germania resta ‘non violenta’, non dà ai politici motivo di affrontare i limiti legali del paese.

Giovanni non ne vuole sentire. Per lui il passato è passato. Ora — conclude — vuole solo investire nel suo futuro. 

*nomi di fantasia

L’inchiesta e’ stata pubblicata anche da Grandangolo il Giornale di Agrigento